Archive for agosto 2010

Poveri gatti d’agosto

agosto 30, 2010

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Delle migliaia di cani abbandonati per andare in vacanza, purtroppo sono piene le cronache. Ma ai gatti cosa succede? Ci avete mai pensato?

Qualche giorno fa, a Volpago del Montello, una signora in bicicletta ha assistito impotente a una scena terrificante: da una macchina in corsa una mano ha lanciato fra i rovi un piccolo gattino.

Nulla è valsa la corsa della donna dal veterinario con il povero piccolo fra le braccia. Il gattino non ce l’ha fatta.

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Purtroppo non è la sola vittima agostana. GeaPress riporta in questi giorni decine di violenze sui gatti. 

A Millesimo, in Valle Bormida, una gatta e cinque piccoli sono rimasti prigionieri in un tombino per diversi giorni, tra l’indifferenza dei passanti, nonostante i miagolii.

A Putignano, nel Barese, una donna ha picchiato il suo gatto fino a paralizzarlo agli arti anteriori. E’ stata fermata dalla denuncia di un vicino che ha chiamato i Vigili Urbani.

A Termoli sono “spariti” i gatti via Trigno; solo pochi mesi fa, a marzo e a maggio, furono avvelenati i gatti del quartiere Porticone.

E poi ancora violenze a Capri, Cava de’ Tirreni, Roma, Savona, L’Aquila, Venezia.

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E pensare che in Italia abbiamo una legge che incuriosisce tutto il mondo, la L.Q. 281/91, unica nel suo genere, perché protegge gli animali di affezione.
Al Gatto viene riconosciuto la status di animale libero, è intoccabile. Al Cane, invece, è garantita la libertà condizionata.

Abbiamo una legge che punisce il maltrattamento e l’uccisione degli animali, la 189/04.

Abbiamo, oltre l’auspicabile buonsenso, norme che vietano lo spargimento di sostanze velenose, che regolamentano il “da farsi” in caso di bocconi avvelenati.

Ma abbiamo anche una grande quantità di amministratori incompetenti, che non conoscono leggi e norme e spesso recalcitranti ad applicarle.

Il Consigliere sardo che vuole incenerire i randagi purtroppo è in buona compagnia.

Berberis, Nux Vomica, Arnica e Chelidonium per Margherita

agosto 29, 2010

Una giornata bellissima. Ieri il temporale ha portato via tutta l’afa e l’umidità. Dalle finestre vedo il Montello, poi le Prealpi verso Vittorio Veneto. In fondo le prime Dolomiti. Sole e aria fresca.

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Sono ancora a casa e mi chiedo come avrà preso Margherita questo brusco abbassamento della temperatura. La vedrò fra qualche ora.

Intanto mi sento più forte e speranzosa. Ieri Margherita, con me vicina, ha mangiato un bel po’ di fieno. L’occhio è rimasto vigile per almeno un paio d’ore. Poi, stanca, si è messa nell’angolo della capanna a riposare. Ma quando sono attorno, è comunque presente e vigile.

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Oggi è il quinto giorno delle cure dolci decise dal veterinario: Phytorenal per fegato e reni, poi una fiala di Nux Vomica per stanchezza, nausea, Arnica per i dolori, Berberis per il fegato, Chelidomium per migliorare la digestione. Cinque giorni di seguito. Da domani sarà un giorno sì e un giorno no.

Domenica è arrivata. Farò quello che Margherita mi chiederà. E, se sarà, saremo fortunate, per sabato prossimo ho prenotato un magnifico e comodissimo Van e me la porterò a casa. Con Nina ovviamente.

Devo scegliere il male minore: da una parte c’è lo stress che potrebbe causarle un trasferimento (anche se di una ventina di chilometri), dall’altra il vedermi solo un paio d’ore al giorno quando va bene se resta dov’è ora. Il male minore è lo stress.

Quando sarà a casa, potrò stare con lei molto di più. E se le lo vorrà, le farò forza. Sia per continuare, che per fermarsi.

Margherita, la scelta più difficile

agosto 26, 2010

Ho una cavalla, purosangue inglese. Si chiama Margherita, ha 16 anni,da 4 è gravemente malata.
E ora sta morendo. 

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Avrebbe dovuto morire in poche settimane e, invece, grazie alla pazienza dei miei veterinari che l’hanno assistita esclusivamente con rimedi omeopatici e terapie dolci, lei è ancora qui.

La nostra storia, iniziata del 2002 e proseguita nel 2006 con la diagnosi, è raccontata in queste pagine

Dall’inizio di agosto la situazione sta precipitando. E da venerdì scorso Margherita non mangia quasi più nulla. Resta tutto il giorno sotto il sole, nell’angolo più remoto del suo paddock. Il più lontano possibile dalla capannina, dal rifugio, dal fieno e dall’acqua.

I valori della bilirubina sono completamente sballati. Segno che la metastasi è probabilmente giunta al fegato e questo non funziona più.

Le mosche la stanno divorando. Il suo corpo le attira come fosse miele. Perché è un corpo che sta morendo.

Si anima Margherita solo quando mi vede. E allora nitrisce e corre per qualche mela e carota. Per farmi felice mangia anche qualche ciuffo di fieno. Ma poi si stanca e ritorna nel suo angolo. Nina, la bardigiana, non la lascia un minuto.

E’ giunto il momento di lasciarla andare? Sono disperata.

Le civette di Cava Bomba

agosto 25, 2010

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C’è un piccolo rifugio per rapaci in difficoltà nel cuore del parco dei Colli Euganei. E’ poco lontano dal Museo paleontologico a Cava Bomba.

Qui i volontari della Lipu padovana, in prima fila Giulio Piras e la moglie Carlotta, ospitano civette e poiane trovate ancora piccole e incapaci quindi di badare a se stesse.
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Nelle grandi voliere Giulio e Carlotta le hanno cibate e aiutate a crescere. Hanno atteso che si irrobustissero abbastanza per essere in grado di volare e sopravvivere nel mondo.
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Nelle passate settimane, il momento tanto atteso è finalmente giunto. Le civette e le poiane di Cava Bomba sono tornate in libertà. Altre arriveranno. Altre saranno curate. E ancora liberate.

Sulle tracce di Dino, orso brigante

agosto 23, 2010

dino_sito.jpgPosina (Vicenza) – “Tutti gli animali hanno il loro territorio. E io non faccio differenza. Questi boschi e queste montagne rispondono al mio bisogno di avere a disposizione uno spazio così ampio e selvaggio per vivere serenamente il mio desiderio di un’esistenza dentro la natura”.

E’ in questa natura poco frequentata, all’ombra del Pasubio, lungo la Valdastico, fra quelle Prealpi vicentine bagnate dal sangue della Grande Guerra e fra i boschi della Val Posina, che Giancarlo Ferron si sente a casa.

ferron_sito.JPGGuardiacaccia, naturalista autodidatta, scrittore di montagna e di animali fra i più amati (suoi sono i successi “Ho visto piangere gli animali“, “Il suicidio del capriolo” e altri tre libri pubblicati dalla Biblioteca dell’immagine di Pordenone), Ferron è uno di quelli che conosce la montagna vicentina come pochi. Che la percorre per lavoro e per passione in lungo e in largo. Che partecipa senza limiti d’emozione ai suoi dolori e alle sue straordinarie bellezze.

E’ lui che ha incontrato l’orso Dino. Che l’ha cercato per mesi. L’ha protetto, l’ha inseguito, l’ha annusato, ne ha scoperto miti e desideri atavici. E se è vero che dentro ognuno di noi c’è un animale, quello che si nasconde in Giancarlo Ferron è proprio l’orso. Nell’aspetto, nella forte individualità, nella travolgente esigenza di abitare boschi e montagne. Solo che lui, con l’istinto dell’orso, ha dovuto imparare a convivere.

Dino invece, dopo aver attraversato il vicentino per alcuni mesi, fatto fuori tredici asini, pecorelle e galline, travolto il quieto vivere di queste vallate, impressionato ogni immaginario possibile, ora se ne è tornato a casa. In Slovenia si dice. Lo si spera. Anche se, in paese, c’è chi se lo immagina ucciso dai bracconieri o dagli allevatori inferociti. Fatto a pezzi e venduto alle macellerie della pianura.

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“No, non è successo nulla di tutto questo. Ma se Dino se ne è tornato a casa, altri ne verranno. La strada ormai è aperta. Certo che il battesimo dell’orso per queste valli non è stato dei più facili. Dino ha un gran carattere, un’individualità forte e marcata, una forza possente, un coraggio da leone. Per questo ci ha così coinvolti. Perché quel che affascina noi uomini degli orsi è proprio quella loro peculiarità di essere individui diversi uno dall’altro nel carattere. Non sono mai gregari”.

Se Dino è un giovane brigante, Jurka, una delle orse fondatrici della popolazione trentina, è stata una presenza costante e inquietante per molti paesi. Perché a differenza dei suoi simili che di giorno stanno al riparo nel bosco, lei amava il centro città. E lì ci arrivava con cuccioli al seguito. Che da Jurca non hanno certo imparato le buone maniere: Bruno se ne è emigrato in Austria e lì ha fatto di tutto e di più, il secondo vaga ancora fra le montagne bergamasche, del terzo non si ha più notizia. E Jurka, alla fine, è stata catturata, sterilizzata e messa in un grande recinto.

La prima volta di Ferron con Dino è stato nel cuore dell’inverno, ad Asiago. Lì ha scoperto le impronte sulla neve.

“Ho messo la mia mano dentro all’impronta. Mi sono messo a carponi e ho camminato dentro ai suoi passi. Sono diventato lui. Volevo vedere il mondo dal suo punto di vista. Ho intuito quello che avrei visto poche settimane dopo: la forza di un animale senza paura capace di uccidere con una zampata un asino da 200 chilogrammi, aprilo e mangiarne lo stomaco.

Così ha fatto Dino con la maggior parte delle bestie che ha ucciso. Perché l’orso è soprattutto un vegetariano e nello stomaco dell’asino aveva già trovato bello e pronto il suo pasto, ruminato e digerito. Mi sono sentito una preda. E ho avvertito un brivido lungo la schiena”.

sindacoPosina_sito.jpg “Dino non è più da queste parti ma noi, con l’orso, dobbiamo comunque imparare a convivere”. Andrea Cechellero, quarantunenne sindaco di Posina, al secondo mandato, non intende affatto demonizzare l’orso: “Se ci avessero avvisato per tempo del suo arrivo, ci saremmo attrezzati. Avrei messo in guardia la popolazione. Avremmo protetto i nostri animali. E invece ci siamo svegliati una domenica mattina con il primo asino squartato. Ma ben vengano orsi, cervi, camosci e tutti quanti. L’unica grande cosa che abbiamo quassù è il nostro ambiente, i nostri boschi e i loro inquilini.”

Fra questi c’è anche il lupo appenninico, le cui impronte sono state avvistate proprio nei giorni delle incursioni dell’orso.

La rincorsa di Dino, la scorsa primavera, è arrivata fino a Malga Campiglia, oltre i mille metri. Dino è passato fra i pascoli ancora immaturi e attorno allo stagno. Non ci stava nessuno qui in Malga. Non era ancora arrivato Francesco Toffano, allevatore di Santa Giustina nel padovano che, con figli al seguito, qui per l’estate porta vacche, pecore e capre e produce formaggio di latte misto. 

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Poi è ridisceso Dino. E sotto il passo Xomo, meta prediletta delle migrazioni d’autunno, si è fermato a banchettare con un asino. Le pattuglie della Polizia provinciale l’hanno visto. Un incrocio di sguardi. Un attimo di ataviche emozioni. Poi la reazione, il fucile a pallini di gomma, il tiro contro il sederone. Non per fargli male, ma per dissuaderlo dal restare a Posina. La sculacciata ha funzionato. Dino è tornato a casa.

Il volo del Pellegrino sui Colli Euganei

agosto 20, 2010

Falco pellegrino3_sito.jpgTeolo (Padova) – Ogni castello ha la sua leggenda. C’è sempre una bella dama rinchiusa e un nobile giovane che cerca disperatamente di liberarla. Succede così anche al Castello di Speronella, eretto nel X secolo e mai espugnato.

Un maniero avvolto dal mistero che oggi, ridotto a poche leggendarie pietre, guarda la pianura dall’alto dell’unica parete naturale dei Colli Euganei, Rocca Pendice. Palestra di roccia molto amata dai giovani alpinisti di tutto il Veneto, dagli hobbisti dell’arrampicata, dall’escursionista domenicale. 

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E dal Falco Pellegrino che qui sui Colli è tornato e che sulle rocce scoscese ama farsi il nido, covare, allevare i piccoli, istruirli nelle picchiate, andare e tornare. Fedele alla dimora prescelta.

Fa così il falco anche sulla cupola della Basilica di Sant’Antonio dove è arrivato qualche mese fa. E pure sui tetti delle chiese padovane del Carmine e di Santa Giustina. Almeno quattro sono infatti le coppie che nel giro di un paio d’anni hanno preso casa nel bel mezzo della città. Tutte provenienti dalla giovane colonia degli Euganei.

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Eppure, qui sui colli, la presenza del falco pellegrino non è mai stata assidua. Non ne parla più di tanto neppure Ettore Arrigoni Degli Oddi, grande ornitologo padovano di fine Ottocento cui non sfuggiva alcun volatile, sia di passo che stanziale. Ma ora il rapace è tornato e cerca in tutti i modi di stabilizzarsi.

E’ per questa ragione che anche quest’anno il Parco dei Colli Euganei ha vietato l’arrampicata su Rocca Pendice nel periodo della nidificazione, da marzo a giugno. “Ma non è stato sufficiente”, spiega Giulio Piras della Lipu padovana mentre siamo ai piedi della parete a caccia col binocolo della coppia di falchi che qui ha il nido.

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“Quest’anno non è nato neppure un piccolo. Strano perché dagli altri nidi, nascosti in alcune delle cave di trachite dei colli, sono volati via almeno sei giovani falchi. Mentre qui sulla Rocca, anche quest’anno è andata a vuoto”.

La ragione? Secondo la Lipu va cercata sia in un tardivo divieto di arrampicata che, forse, in un continuo disturbo da parte di coloro che l’hanno trasgredito. O forse anche per mano di altri che hanno voluto deliberatamente mandare a monte la nascita dei pulli.

Quello che il falco non sa, è che in ballo c’è il futuro della Rocca. Grazie a un finanziamento europeo, il Parco Colli l’ha appena acquistata dalla famiglia Scalabrin e ha commissionato all’Università di Padova un progetto per rilanciarla. Un compromesso, quindi, va necessariamente trovato fra sportivi, turisti e protezionisti. Ma a che prezzo?

La presidente del Parco, Chiara Matteazzi, lo scorso giugno in occasione dell’annuncio dell’acquisto della Rocca, ha promesso che la gestione dell’ambìto luogo sarà coordinata in collaborazione con Cai e Lipu. Gli ambientalisti lo sperano perché il falco ha bisogno di starsene tranquillo mentre cova. Pena l’abbandono del nido. E magari anche dei Colli.

Nel 2001 e nel 2002 le covate, guardate a vista da Silvio Basso, ex cacciatore e storico volontario della Lipu padovana, si sono concluse in felici nascite. Nel 2003 e 2004 la cova è invece fallita mentre l’anno successivo, grazie alla chiusura della Rocca per tutto l’anno – chiesta dalla Lipu sia al ministero dell’Ambiente che alla Commissione europea – quattro nidiate sono andate a buon fine.

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“Ora siamo al punto di prima”, aggiunge Giulio, “l’unica strada per proteggere i falchi è quella che l’Ente Parco definisca una volta per tutte un regolamento che vieti l’arrampicata dalla stagione degli amori, fra gennaio e febbraio, e il volo dei piccoli, a metà giugno. L’ha fatto, senza essere un parco, perfino il Comune di Lumignano, sui Berici, dove il falco è tornato a volare. E i risultati si vedono”.

Non abbandonarlo, adottalo…

agosto 18, 2010

Bella idea quella dell’Usll 20 di Verona….vai contro tendenza. In canile c’è qualcuno che ti aspetta.

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Il cane abbandonato di Verona: perché non riesco a togliermelo dalla testa?

agosto 16, 2010

caneAbbandonato.jpgUna sofferenza atroce: perché mai una ragazza sia pur in difficoltà perché sfrattata abbandona e lascia morire di fame il suo cane?

Perché arriva a tanto?

Mi direte, un cane non è un bambino. Non è uno di noi. Se soffri così tanto per la triste sorte di un cane, chissà quanta pena dovresti provare per tutti quei bambini che in ogni angolo del mondo soffrono, vengono abbandonati al loro destino, muoiono di stenti e malattie, vanno in guerra, bevono acqua inquinata….

Lo so. Soffro per loro. Perché come gli animali sono creature impotenti e nelle mani spesso crudeli di noi donne e uomini.

Ma credo anche che se imparassimo a rispettare la vita degli animali, riusciremo anche ad amare di più la nostra. E di chiunque abbia un cuore che batte. 

Il mistero del ponte dei cani suicidi

agosto 15, 2010

Torno sulla triste questione dei cani suicidi per segnalare un fatto per lo meno curioso.

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C’è un ponte in Scozia, dalle parti di Glasgow, esattamente a Dumbarton dal quale dal 2005 almeno 5 cani (ma c’è chi dice siano cinquanta almeno gli animali coinvolti), in momenti diversi, si sono inspiegabilmente suicidati, gettandosi proprio giù dal ponte.

Per capire quanto sta accadendo si è mobilitata anche la Scottish Society for the Prevention of Cruelty to Animals con un’indagine e consigliando a chi passeggia da quelle parti di avvicinarsi al ponte solo con animali ben legati.

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Tante le teorie: dai suoni d’acqua ipnotici per i cani a una sorta di interferenza da una base nucleare vicino, da impulsi elettrici a fantasmi (ovviamente scottish).  

Ma gli studiosi negano che gli animali possano avere tendenze suicide, tantomeno di praticarlo. Ascoltate questo intervento….



Lungo il Sile, con le cicogne

agosto 14, 2010

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Sant’Elena di Silea (Treviso) – Ogni viaggio è soprattutto un ritorno. Ne sa qualcosa Rodan, il maschio di una coppia di cicogne che per tornare dalla sua Malena percorre ogni anno tredicimila chilometri. Dal Sudafrica al villaggio di Brodski Varos, in Croazia. Tanto innamorato da volare su quello spazio senza fine ormai da cinque anni per ricongiungersi alla compagna che a causa di una vecchia frattura non riesce più a migrare.

Le cicogne vanno e ritornano. Ai loro grandi nidi. Che ogni anno diventano sempre più enormi. All’inizio dell’avventura amorosa pesano una ventina di chili e poi finiscono per arrivare anche a trecento. Come quello che guarda il Sile dall’alto del poderoso camino di casa Menuzzo, a Sant’Elena di Silea.

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Anche in questo microcosmo, in questo angolo del Parco, da qualche anno le cicogne vanno e tornano. Alcune restano perché, come Malena, non possono più volare. E allora i volontari della Lipu le ospitano in grandi voliere, con grandi nidi sui trespoli. Le cibano e le curano ogni santo giorno che Dio manda in terra. Altre si spostano di poco.

Hanno fatto casa su un traliccio della luce a Cendon. A Casale. Fino a Santa Cristina dove, all’ Oasi di Cervara, hanno trovato un’altra dimora ideale per metter su famiglia: due coppie, reintrodotte l’anno scorso con un progetto di Cassa Marca, ad aprile hanno dato alla luce tre piccoli. Di altre, invece, si perdono le tracce.
 
CentrocOCOGNE.gifMa se volete capire davvero chi sono questi uccelli che abitano il nostro immaginario collettivo, dovete bussare la porta del Centro cicogne di Sant’Elena di Silea. Il secondo nato in Italia e gestito dalla Lipu, dopo quello di Racconigi in Piemonte. E’ stato aperto nell’autunno 1992 quando di cicogne non c’era più traccia.

Le cronache raccontano che le ultime coppie, lungo il Sile, avevano nidificato a fine ‘600. Poi la storia le ha travolte e l’agricoltura intensiva del primo Novecento impedito ogni sporadico tentativo di nidificazione. Ci hanno provato ancora negli anni ’60 e ’70, ma senza successo: nonostante la taglia messa sui bracconieri, ogni nido veniva abbattuto e la cicogna finiva uccisa e impagliata.

“Lungo il Sile”, spiega Paolo Vacilotto, il volontario della Lipu che fin dall’inizio segue il Centro “ormai ce ne sono una decina. Ma in questi anni ne abbiamo rilasciate almeno cinquanta. Non tutte rimangono. La maggior parte vola verso altri luoghi e solo ogni tanto le rivediamo qui, attratte dall’ultima selvaticità di queste sponde. Quelle che per vari motivi non riescono più a volare le teniamo nelle voliere. Fanno da richiamo alle loro compagne”.

Il canto della cicogna non è una melodia. Picchia il becco e il suono che ne nasce è uguale a quello delle nacchere. Sono grandi e bianche con le piume delle remiganti nere. Qualche volta appare qui anche la cicogna nera che è una gran bellezza. Ma per ora è solo di passo.

Non è un caso che il nido più grande lungo il Sile domini questi 4 ettari di oasi dall’alto di casa Menuzzo, nota famiglia di imprenditori trevigiani. Per intenderci, quelli della Came di Dosson, leader mondiale nel campo degli automatismi per serramenti e dissuasori a scomparsa. Presenti al Pentagono come nella Città proibita di Pechino.

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Non è un caso perché, situazione abbastanza unica sia nel Veneto che in Italia, artefice illuminato e di fatto sponsor unico, decisamente discreto, del Centro Cicogne è il signor Angelo, grande appassionato di natura.

Quando negli anni Ottanta acquistò questo luogo, c’erano solo campi desolati e incolti. Oggi è un gioiello di biodiversità. Non solo cicogne, ma anche uno stagno che è un vero e proprio giardino botanico acquatico con specie originarie delle sponde del fiume, ma che erano scomparse.

Il Pentia, affluente del Sile, attraversa l’oasi e ospita ancora i gamberi. Il rarissimo Marangone minore guarda a vista, dall’alto dello stesso albero, i pesci dello stagno. Il Martin pescatore ogni tanto appare in veloce volo di ricognizione. Due cavalli e un asino si godono l’estate in un recinto elettrificato. Qualche scoiattolo salta da un ramo all’altro di una vecchia quercia.

Nei prossimi giorni le cicogne del Sile inizieranno il lungo viaggio di ritorno. Voleranno verso il Sud d’Italia, si spingeranno fino al Nord Africa. Lì trascorreranno l’inverno prima di riprendere il cammino a ritroso. Torneranno sul Sile verso marzo e aprile.

Giusto in tempo per metter su famiglia. Non va persa allora la giornata che il Centro della Lipu organizza per domenica 15 agosto. Porte aperte dalla mattina alla sera per salutarle. 
Info: 0422.919926-3283732087.