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La zampata dell’orso

novembre 18, 2010

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Nel mondo slavo, l’orso ha un nome incredibile: Medved. Una parola che inizia per Med, ovvero miele. Per raccontare in estrema sintesi la sua leggendaria golosità.

Sarà merito (o colpa) di un atavico ricordo gastronomico che Dino ha deciso di tornare a casa. Come si sospettava – al di là delle voci che lo davano sui piatti di qualche ristorante –  è arrivato il Slovenia ed è stato avvistato qualche giorno fa  vicino all’autostrada per Lubiana.
La sicurezza definitiva ci sarà con la foto che l’università di Lubiana dovrebbe presto inviare al Corpo forestale dello Stato di Vicenza.

Sono felice per lui. Anche se la Slovenia non è un bel posto per gli orsi. Stava più sicuro dalle nostre parti. Per i boschi ce ne sono almeno 450 e la caccia è consentita.

Chiunque abbia attraversato il Paese, ricorda bene le sagome di cartapesta che avvertono i viaggiatori, sui lati dell’autostrada, che Medved è di casa in questi magnifici luoghi. E in buona compagnia.

Forse Dino farebbe bene ad andare in letargo. A nascondersi per bene. E  attendere nel sonno il ritorno della primavera. 

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 Per noi invece è il momento giusto per riprendere in mano la sua storia   di vagabondaggio fra Friuli, Veneto e Trentino.

In particolare nella zona del Vicentino dove, fra aprile e giugno scorso, Dino ha seminato il panico e messo in moto ancestrali paure nei confronti di quel mondo naturale al quale non siamo più abituati. Un orso brigante, insomma.

Il vagabondaggio in Val Posina, e non solo, di Dino è raccontato in un libro uscito da poco, La zampata dell’orso, firmato da Giancarlo Ferron che, oltre a essere un sottile narratore di storie di montagna e dei suoi abitanti, è quella Guardia provinciale che l’ha seguito giorno dopo giorno.
In poche pagine che si leggono tutte d’un fiato c’è il fascino, la forza, il valore naturalistico e i problemi di convivenza con l’uomo, del predatore più grosso e forte d’Europa. Da non perdere. Edizioni Biblioteca dell’immagine di Pordenone.

Sulle tracce di Dino, orso brigante

agosto 23, 2010

dino_sito.jpgPosina (Vicenza) – “Tutti gli animali hanno il loro territorio. E io non faccio differenza. Questi boschi e queste montagne rispondono al mio bisogno di avere a disposizione uno spazio così ampio e selvaggio per vivere serenamente il mio desiderio di un’esistenza dentro la natura”.

E’ in questa natura poco frequentata, all’ombra del Pasubio, lungo la Valdastico, fra quelle Prealpi vicentine bagnate dal sangue della Grande Guerra e fra i boschi della Val Posina, che Giancarlo Ferron si sente a casa.

ferron_sito.JPGGuardiacaccia, naturalista autodidatta, scrittore di montagna e di animali fra i più amati (suoi sono i successi “Ho visto piangere gli animali“, “Il suicidio del capriolo” e altri tre libri pubblicati dalla Biblioteca dell’immagine di Pordenone), Ferron è uno di quelli che conosce la montagna vicentina come pochi. Che la percorre per lavoro e per passione in lungo e in largo. Che partecipa senza limiti d’emozione ai suoi dolori e alle sue straordinarie bellezze.

E’ lui che ha incontrato l’orso Dino. Che l’ha cercato per mesi. L’ha protetto, l’ha inseguito, l’ha annusato, ne ha scoperto miti e desideri atavici. E se è vero che dentro ognuno di noi c’è un animale, quello che si nasconde in Giancarlo Ferron è proprio l’orso. Nell’aspetto, nella forte individualità, nella travolgente esigenza di abitare boschi e montagne. Solo che lui, con l’istinto dell’orso, ha dovuto imparare a convivere.

Dino invece, dopo aver attraversato il vicentino per alcuni mesi, fatto fuori tredici asini, pecorelle e galline, travolto il quieto vivere di queste vallate, impressionato ogni immaginario possibile, ora se ne è tornato a casa. In Slovenia si dice. Lo si spera. Anche se, in paese, c’è chi se lo immagina ucciso dai bracconieri o dagli allevatori inferociti. Fatto a pezzi e venduto alle macellerie della pianura.

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“No, non è successo nulla di tutto questo. Ma se Dino se ne è tornato a casa, altri ne verranno. La strada ormai è aperta. Certo che il battesimo dell’orso per queste valli non è stato dei più facili. Dino ha un gran carattere, un’individualità forte e marcata, una forza possente, un coraggio da leone. Per questo ci ha così coinvolti. Perché quel che affascina noi uomini degli orsi è proprio quella loro peculiarità di essere individui diversi uno dall’altro nel carattere. Non sono mai gregari”.

Se Dino è un giovane brigante, Jurka, una delle orse fondatrici della popolazione trentina, è stata una presenza costante e inquietante per molti paesi. Perché a differenza dei suoi simili che di giorno stanno al riparo nel bosco, lei amava il centro città. E lì ci arrivava con cuccioli al seguito. Che da Jurca non hanno certo imparato le buone maniere: Bruno se ne è emigrato in Austria e lì ha fatto di tutto e di più, il secondo vaga ancora fra le montagne bergamasche, del terzo non si ha più notizia. E Jurka, alla fine, è stata catturata, sterilizzata e messa in un grande recinto.

La prima volta di Ferron con Dino è stato nel cuore dell’inverno, ad Asiago. Lì ha scoperto le impronte sulla neve.

“Ho messo la mia mano dentro all’impronta. Mi sono messo a carponi e ho camminato dentro ai suoi passi. Sono diventato lui. Volevo vedere il mondo dal suo punto di vista. Ho intuito quello che avrei visto poche settimane dopo: la forza di un animale senza paura capace di uccidere con una zampata un asino da 200 chilogrammi, aprilo e mangiarne lo stomaco.

Così ha fatto Dino con la maggior parte delle bestie che ha ucciso. Perché l’orso è soprattutto un vegetariano e nello stomaco dell’asino aveva già trovato bello e pronto il suo pasto, ruminato e digerito. Mi sono sentito una preda. E ho avvertito un brivido lungo la schiena”.

sindacoPosina_sito.jpg “Dino non è più da queste parti ma noi, con l’orso, dobbiamo comunque imparare a convivere”. Andrea Cechellero, quarantunenne sindaco di Posina, al secondo mandato, non intende affatto demonizzare l’orso: “Se ci avessero avvisato per tempo del suo arrivo, ci saremmo attrezzati. Avrei messo in guardia la popolazione. Avremmo protetto i nostri animali. E invece ci siamo svegliati una domenica mattina con il primo asino squartato. Ma ben vengano orsi, cervi, camosci e tutti quanti. L’unica grande cosa che abbiamo quassù è il nostro ambiente, i nostri boschi e i loro inquilini.”

Fra questi c’è anche il lupo appenninico, le cui impronte sono state avvistate proprio nei giorni delle incursioni dell’orso.

La rincorsa di Dino, la scorsa primavera, è arrivata fino a Malga Campiglia, oltre i mille metri. Dino è passato fra i pascoli ancora immaturi e attorno allo stagno. Non ci stava nessuno qui in Malga. Non era ancora arrivato Francesco Toffano, allevatore di Santa Giustina nel padovano che, con figli al seguito, qui per l’estate porta vacche, pecore e capre e produce formaggio di latte misto. 

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Poi è ridisceso Dino. E sotto il passo Xomo, meta prediletta delle migrazioni d’autunno, si è fermato a banchettare con un asino. Le pattuglie della Polizia provinciale l’hanno visto. Un incrocio di sguardi. Un attimo di ataviche emozioni. Poi la reazione, il fucile a pallini di gomma, il tiro contro il sederone. Non per fargli male, ma per dissuaderlo dal restare a Posina. La sculacciata ha funzionato. Dino è tornato a casa.