Archive for settembre 2011

Arrivederci rondini

settembre 29, 2011

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Le rondini se ne stanno andando. Assieme all’estate e con l’arrivo (fortunatamente quest’anno un po’ in ritardo) dell’autunno.

Centinaia di migliaia di coppie di questa specie si sono riprodotte fino alla fine di agosto nelle stalle e nei borghi italiani e in questi giorni adulti e giovani si stanno preparando al grande salto verso l’Africa dove passeranno l’inverno.

rondine1.JPGSi aggiungono alle rondini “italiane” altre milioni di sorelle che stanno migrando attraverso l’Italia e che provengono dal Nord Europa. Da qui dovranno attraversare il Mediterraneo e poi il Sahara per giungere nelle foreste dell’Africa equatoriale.

La biologia della rondine e la migrazione di questa specie sono studiati da anni con un progetto di inanellamento coordinato a livello europeo. In Italia gli ornitologi coordinati dall’ISPRA hanno finora marcato oltre 500.000 individui. E il WWF in Abruzzo ha avviato un progetto di monitoraggio.

Recentemente l’istituto ha pubblicato i risultati di una ricerca che ha evidenziato per la prima volta come le rondini siano “programmate geneticamente” per accumulare riserve di grasso utili per la migrazione in quantità differenti a seconda dell’area geografica dalla quale partono per il lungo volo verso l’Africa.

Infatti i giovani che partono dal sud della penisola italiana, senza precedenti esperienze di migrazione, accumulano più grasso dei giovani che partono dal Sud della Spagna, perché questi ultimi nella migrazione verso sud dovranno attraversare tratti di mare e di deserto più stretti. 

Ma ciò che più minaccia le rondini è la qualità dell’ecosistema. Nel 2010 sempre l’Ispra aveva dichiarato che le rondini in Italia si erano dimezzate negli ultimi 25 anni. E non solo loro, purtroppo. Ma anche l’allodola e il balestruccio

Quei poveri mussi presi a calci

settembre 27, 2011

La notizia e le immagini mi arrivano mentre sto scrivendo un pezzo sulla Pet Therapy in Veneto. 

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Mi stavo facendo mille domande sull’ennesima schizofrenia della nostra società: da una parte riconosce agli animali un potere terapeutico e un’anima d’amore (con le terapie assistite), dall’altra li maltratta e li mangia.

L’ennesimo maltrattamento è capitato, e non poteva che essere così, a Riese Pio X, nel trevigiano, all’ennesima sagra dei poveri mussi.

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Qui si mette in palio un asino a chi ne indovinerà il peso (davvero magro sembra), poi augura buon appetito con l’asino in umido, disteso a pezzetti, in un letto di polenta, poi ancora lo si prende a calci.

Nell’annuale corsa di domenica scorsa, c’era pure un fotografo che ha fatto pervenire il tutto all’Associazione 100% animalisti: fantini con frustini che quando cadevano dallo spaventato asinello, inveivano sferrando violenti calci.

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Questo secondo il racconto di 100% Animalisti che hanno appena diffuso con GeaPress la sequenza fotografica.

Nessun rispetto per la dignità e l’incolumità degli asini, denunciano. Calci dati per provocare dolore e danno, continuano indignati. 

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Tutto documentato e raccolto in una denuncia che ieri pomeriggio gli avvocati di 100% Animalisti, Marco Cinetto e Riccardo Baron, hanno già fatto pervenire alla Procura della Repubblica.

Ad essere stati denunciati sono la Proloco, il Sindaco, il ragazzo che sferra il calcio e i Servizi veterinari dell?ASL. 

Caccia, class action della Lac

settembre 26, 2011

In Italia i cacciatori possono scavalcare la recinzione di un fondo e cacciare nel vostro terreno. Succede sempre. E’ successo anche a me domenica mattina. I cacciatori sono entrati nel terreno che ospita le mie cavalle. Ero lì. Ho avuto paura per me e per loro.

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A consentirlo è l’art. 842 del Codice Civile. Ma un altro articolo – n.15 della legge 157/92 (legge sulla caccia) -prevede che è “dovuto ai proprietari o conduttori un contributo da determinarsi a cura della amministrazione regionale in relazione alla estensione, alle condizioni agronomiche, alle misure dirette alla tutela e alla valorizzazione dell’ambiente”.

no-caccia_capriolo.jpgLa cifra deve essere prelevata, dice sempre la legge, dalla tassa di concessione venatoria regionale. Questo in teoria. In pratica, però, non è mai successo. Non un solo centesimo è arrivato dai cacciatori ai conduttori di fondi.

Fa bene quindi la Lac Veneto a pensare a una clamorosa class action dei proprietari dei terreni nei confronti della Regione Veneto.

Secondo le stime dell’associazione, i proprietari di terreni veneti ove si svolge la caccia vantano un credito nei confronti della Regione Veneto di 76.269.970 solo per il 2011.

Se si considera poi che nulla è stato mai pagato, gli arretrati di 10 anni ammonterebbero a oltre 760 milioni di euro oltre interessi, solo per il Veneto

Ciò significa che i cacciatori, se intendono continuare ad andare a caccia, dovranno sborsare a loro volta le somme dovute ai proprietari, pagando alle Regioni salatissime tasse di concessione e non l’importo attuale di 84 euro circa all’anno!

La LAC Veneto ha incaricato i suoi legali di patrocinare in un fronte comune tutti i proprietari e conduttori dei fondi rurali dove si svolge la caccia, che dovrebbero reclamare il canone 2011 non corrisposto, gli anni arretrati e i relativi interessi.

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La Lega Abolizione Caccia chiede anche la immediata sospensione di ogni attività venatoria fintanto che non saranno corrisposte a proprietari e conduttori dei fondi agro-silvo-pastorali le somme dovute per legge.

Bramiti d’amore in Cansiglio

settembre 25, 2011

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Era quasi notte. La Val Menera stava andando a dormire. I cavalli bradi cercavano riposo.Cominciava a far freddo, ma non ci facevo caso. Stavo in religioso silenzio. In attesa. Mi sentivo quasi persa in tutto quel silenzio. Sotto un cielo che stava per luccicare di stelle e il buio che avanzava. 

D’un tratto un fremito. Mille fremiti. E infine un canto d’altri mondi. Possente e oscuro. Profondo e malinconico. Amoroso e fremente. Li intravvedevo appena i cervi, laggiù sulla piana. Erano decine, forse centinaia. Erano venuti qui a cantare i loro inni d’amore. 

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L’autunno chiama. I maschi bramiscono. E’ un’esibizione di potenza e di forza naturale. Le femmine ascoltano e fremono. Avevo chiuso gli occhi quella notte perché il bramito del cervo potesse far breccia nello stomaco, nella pelle, nell’animo così incredulo di fronte a un tale spettacolo.

Così è avvenuto. E ogni volta che torno alla Foresta, ripenso a quella strana notte di creature e suoni.

In Cansiglio il bramito dei cervi è diventato un’occasione turistica. Veneto Agricoltura fino al 22 ottobre organizza itinerari nella foresta proprio per ascoltare il canto d’amore. 

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Altri appuntamenti (non di Veneto Agricoltura) sono per sabato 1 e sabato 8 ottobre, con ritrovo alle 17 al Rifugio Sant’Osvaldo in Pian di Cansiglio ( per partecipare: Marco Bernardi, marcobernardi1977@libero.it ; Tel. 320.7053402; Luca Mamprin: mamprinluca@gmail.com ; Tel. 349.6429385)

Li vedi i grandi maschi. Sbucano dalla foresta e sembrano fantasmi. Arrivano nella piana dove centinaia di femmine in branco li stanno aspettando. Il bramito è il loro sfidarsi continuo per stabilire nuove gerarchie e dare vita a nuove famiglie.

Arriva a pesare anche 200 chilogrammi un maschio di cervo. Non passa certo inosservato: è alto fino a un metro e mezzo e lungo perfino 2 metri e trenta. Il palco che come una corona porta sulla testa è il segno del suo potere.

cervo3.jpgNon chiamatele corna dicono gli esperti. Quelli del cervo sono veri e propri palchi che a fine inverno cadono per poi ricrescere ancor più forti, al ritmo di 5, 6 centimetri al giorno. Ogni anno più imponenti fino ad arrivare, in un cervo adulto, a pesare anche dieci chilogrammi.

Il bramito è qualcosa a metà strada fra un muggito e un ruggito. Deve per forza incutere timore. Ma se non bastasse, in segno di sfida i maschi iniziano a raspare il terreno con gli zoccoli o con i palchi.

Si irrigidiscono e si scagliano contro i cespugli distruggendoli con la forza delle corna. Poi, se nessuno dei due molla, camminano affiancati restando lontani una decina di metri l’uno dall’altro.

Si spiano e si minacciano guardandosi appena con la coda dell’occhio. Un mondo intero sta in quello sguardo, in quell’avvertimento, in quel desiderio tutto maschile di supremazia assoluta. Se tutto ciò non bastasse ancora, non resterà che la lotta. Corpo a corpo. E sarà un combattimento crudele.

Saranno ormai due o perfino tremila i cervi del Cansiglio. Fino a questa estate appena trascorsa sono stati un gran problema per i pascoli. Se la mangiavano tutta loro la fresca erbetta novella. Alle mucche d’alpeggio restava poco o nulla.

E’ dal 2008 che due Regioni (Veneto e Fruili) e tre Province (Belluno, Treviso e Pordenone)ne vogliono arginarne l’avanzata. Nell’ottobre 2010 si era arrivati a un accordo per il prelievo di 400 animali all’anno per tre anni. Ma nulla al momento è stato fatto. Troppo potente l’aura che circonda il cervo. 

Qualche piccolo cambiamento, qualche timida prova di convivenza si sono stati. L’impegno della Regione Veneto a costruire lunghissimi recinti alti più di due metri al confine della foresta e quello degli allevatori di realizzarne altrettanti, elettrificati, per proteggere i pascoli, è stato premiato.

Là dove nel luglio 2010 c’erano solo prati rasati nottetempo, un anno dopo c’è ancora tanta erba per le mucche e le pecore alpagote che qui passano felici l’estate.

I recinti però sono anche la ragione per cui quest’anno sarà più difficile vedere i cervi in amore. E insieme a questa la pratica estiva di spaventare gli animali con i petardi per impedire loro di uscire dalla foresta. Vedremo.

I cervi in Cansiglio sono uno spettacolo degli ultimi anni. In questa antica foresta si erano estinti a metà dell’Ottocento. La loro avventura ricominciò nel 1966 quando in località Tramedere, dove si trova il museo di Ecologia, l’allora Azienda di Stato per le Foreste demaniali realizzò un recinto faunistico di circa 50 ettari nel quale furono introdotti daini e cervi, quest’ultimi provenienti dalla zona di Tarvisio.

La neve e la caduta di qualche albero favorirono la fuga d’alcuni capi dal recinto. Altri forse arrivarono in Cansiglio dal Cadore. Nel 1985 che vagavano per la foresta erano segnalati una trentina di capi: troppo pochi perché si avviasse un vero e proprio ripopolamento. E non c’erano neppure popolazioni vicine che potessero favorirlo con flussi migratori.

La svolta si è avuta alla fine degli anni Ottanta. Furono gli anni dell’infestazione della cefalcia, un micidiale insetto defogliatore degli abeti. Quel che era rimasto del recinto venne abbattuto e tutti gli animali fuggirono via. Da quel momento la consistenza della popolazione è andata via via aumentando. Anno dopo anno.

Da dicembre ad agosto i cervi colonizzano un territorio vastissimo, sui ventimila ettari, che ha come confini la dorsale del gruppo del monte Cavallo, l’Alpago, il lago di S.Croce, la val Lapisina, Vittorio Veneto, Cappella, Maggiore, Sarmede, Caneva, Polcenigo, Budoia, Aviano.

Succede che qualche esemplare si avventuri perfino nella pianura.

La permanenza in foresta dipende dalla presenza o meno di neve. Se questa supera i trenta centimetri tutti gli animali si spostano nei quartieri di svernamento. In caso contrario una parte della popolazione rimane in Cansiglio.

Il periodo più freddo viene trascorso sui crinali meglio esposti al sole, nella zona sopra Campon-Palughetto, nei pascoli delle malghe del versante Pordenonese e Trevigiano, nella zona del Ceresera fino ad arrivare alle campagne attorno ad Aviano.

 Quando arriva la primavera i cervi si incamminano verso quote più alte, dall’Alpago a Pian Cavallo. Fra settembre e ottobre tutta la popolazione ritorna in foresta per il periodo dell’amore. Qui rimane fino all’arrivo della prima neve.

Terminati gli accoppiamenti, gli animali tendono nuovamente a riunirsi in grossi branchi, i maschi da una parte, le femmine con i piccoli ed eventuali maschi giovani dall’altra. Solo i maschi anziani tendono a isolarsi e a vivere in solitudine. Femmine e giovani preferiscono il branco.

E’ in questo periodo, là dove non esistono ancora le recinzioni, che la Piana del Cansiglio diventa il punto d’incontro per il grosso della popolazione, facilmente visibile a sera e nelle prime ore del mattino fra ottobre e novembre. 

Mucche in cammino

settembre 22, 2011

«Ma ci saranno ancora degli innamorati che in una notte d’inverno si faranno trasportare su una slitta trainata da un generoso cavallo per la piana di Marcésina imbevuta di luce lunare? Se non ci fossero, come sarebbe triste il mondo…». 

Marcesina.JPGNon so se gli stravaganti innamorati di Mario Rigoni Stern esistano ancora. Se quassù qualcuno abbia ancora voglia di sfidare il vento gelato e il freddo perfino d’estate. Sono le dieci di mattina e 12 gradi al sole. Siamo nella Finlandia d’Italia. Nel luogo più freddo, si dice, dell’intero stivale.

Ogni estate arrivano sulla piana quasi un migliaio di mucche. Vengono all’alpeggio perché il latte e il formaggio di queste parti chiedono il meglio per poter esistere.

mucca_marcesina.JPGDuecento metri di sterrato ti conducono a Malga Marcesina. Bella e vera. Forte e decisa. Come chi la abita. La famiglia Pagiusco è di Bressanvido, vicentino. Portano le vacche qui da sempre. Arrivano a Marcésina i primi giorni di giugno e la lasciano a fine settembre.

Le loro vacche, più quelle dei malgari vicini, sono le protagoniste della più imponente transumanza nel nord d’Italia che quest’anno parte venerdì 23 settembre dalla piana e arriva a Bressanvido domenica 25. E qui si fa festa fino al 4 attobre.

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Tre giorni e 80 chilometri di cammino per 450-500 vacche, una trentina di uomini a cavallo, una settantina a piedi, qualche pecora infiltrata, un trattore con la botte dell’acqua, un camioncino per caricare le vacche che non ce la fanno, un altro con i vivere per tutti.

E due cani: Nano di 12 anni e Furba di 9, pastori sardi e indiscussi padroni della mandria.

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Si scende lungo le vie principali. Si dorme sui campi. Si costruiscono recinti e si smontano recinti. Si allestiscono enormi abbeveratoi e imponenti mangiatoie.

Si parte venerdì alle 9.30 alla volta di Asiago.
Al Turcio ci si ferma di nuovo. E’ ora di rimontare il recinto per la notte. Di dispensare acqua e fieno. A turno i mandriani montano la guardia. Sabato alle 8 si riparte. Verso le 10, se tutto fila liscio, si è già a Casa Girardi dei fratelli Sambugaro, transumanti storici di queste parti. 

Qui sotto alla Malga dei Pagiusco
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E’ l’ultima tappa e l’ultima pausa fino a Marostica. Bisogna bere e mangiare perché non ci sarà più spazio per fermarsi. Alle porte della città murata si sta sui campi della Rosina, abbastanza ampi da accogliere tutti i transumanti e la loro carovana vivente.
A sera, alla luce delle torce si raggiunge Campo Marzio per la notte. Alle sette della mattina della domenica si riparte. Si attraversano Nove, Santa Romana, Scaldaferro e Poianella. Qui ci si ferma. 
Qui sotto Nano
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L’entrata a Bressanvido è alle 16. Non un minuto prima, non un minuto dopo. Guidano la transumanza le vacche più anziane, addobbate di ghirlande. Seguono i mandriani a cavallo.

E tutte le altre mucche. Forse più desiderose di pace che di festa.

Il toro impazzito (e ucciso) a Mira

settembre 21, 2011

Una storia triste con una conclusione ancora più triste. Era fuggito da un camion proveniente dalla Francia il toro che qualche ora fa è stato ucciso a Mira. La sua destinazione era una azienda agricola.

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Ma chissà come è riuscito a fuggire. Dopo quel lungo viaggio. Ha trascorso gli ultimi minuiti della sua vita correndo lungo le strade del centro di Mira e procurando, così dice la Polizia Provinciale, situazioni di evidente pericolo.

Pesava quattro quintali lo sfortunato toro. Gli agenti della polizia sono riusciti a bloccarlo in alcune vie e alla fine si è rifugiato in un giardino di una palazzina di via Enrico Fermi. Inutili i tentativi di catturalo per riportarlo nell’allevamento. 

Nell’estremo bisogno di essere libero, l’animale ha tentato di sfondare le recinzioni del giardino e riprendere la sua corsa. Un agente della Polizia Provinciale l’ha finito con un colpo di arma da fuoco.

E’ andata meglio alla qualche mese fa alla mucca Teresa.

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Scappata da un allevamento di Castiglione di Sicilia era finita, dopo giorni di beato girovagare nei boschi, nella spiaggia di Santa Teresa di Riva, in provincia di Messina. Teresa tentò di attraversare a nuoto lo stretto e a  salvarla fu una ragazza che da quel giorno divenne vegetariana.

Skin, la vita ricomincia

settembre 20, 2011

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Fine agosto. Qualcuno chiama le volontarie del rifugio Apa di Chioggia: c’è un cane abbandonato in mezzo ai campi.

In cinque minuti le ragazze sono lì, davanti a un corpicino straziato, disteso a terra, ricoperto di pulci e zecche. E con un osso infilato nella guancia. Una scena atroce.

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Skin, così viene chiamato questa creatura, viene portato al canile, viene ripulito, trasferito dal veterinario, gli viene tolto l’osso e iniziano gli accertamenti.

Sembra gravissimo perché Skin è anche anziano. Ma la fiducia nella vita, le cure, l’impegno quotidiano delle volontarie e, nonostante tutto, negli umani, è più forte del dolore e dell’orrore.

Skin ricomincia a mangiare, il pelo ricresce, il peso aumenta. Il sorriso ritorna sul suo bel faccione di cane.

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Ma il rifugio non è una casa. Soprattutto ora che l’estate è finita e che arriva l’inverno. Skin ha bisogno di stare al caldo e di una famiglia. Perché se la merita. Perché scodinzola a tutti. Perché è pronto a ricominciare.

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Chiamate Loretta del Rifugio Apa di Chioggia: 328.9620233, boscolosassariolo@tiscali.it

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“Facevo a pezzi gli animali. Ora li difendo”

settembre 19, 2011
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Tom Regan, massimo filosofo per i diritti degli animali, non solo era un carnivoro, ma un tempo non tanto lontano ha anche lavorato come macellaio.

200px-TomRegan2--140x180.jpg “Ho fatto a pezzi animali – ha detto più volte –  ho tagliato a fette la loro carne fredda perché questo era un desiderio crudele che avevo in me. So bene cosa vuol dire trattare gli animali come fossero blocchi di legno. Ma nel tempo mi sono reso conto che questo era un grande errore”.

“Un passo alla volta, ho cominciato a interessarmi a quello che accadeva agli animali. Ed è stato un po’ come mettere una pentola di acqua sul fuoco: piano piano ho cominciato ha bollire. Fino a che un giorno mi sono svegliato e mi sono scoperto un difensore dei diritti degli animali. Questo è il mio percorso e dico che se ci sono arrivato io possono arrivarci tutti».

Gabbie.jpgIn circa 40 anni di lavoro Regan ha scritto migliaia di pagine sui diritti degli animali. Ma nel mondo è conosciuto soprattutto per quelle “Gabbie vuote“, edito in Italia da Sonda e rivolto a un pubblico che lui definisce “generico”.

In effetti, Gabbie vuote è un vero e proprio manuale di reclutamento dei sostenitori dei diritti animali e di futuri vegetariani: pagine scritte con la speranza che i difensori dei diritti degli animali lo regalassero ad amici, parenti, colleghi così che potessero capire le ragioni del movimento.


Dopo aver letto Gabbie vuote, non si è più come prima.
Si guarda agli animali con occhio diverso. Piano piano ci si convince dell’impossibilità, prima di tutto etica, di essere carnivori.

Dopo la lectio magistralis della scorsa settimana al Festival Filosofia di Modena, imperdibile è l’appuntamento di martedì 20 settembre a Venezia: Tom Regan riceverà dal Comune un riconoscimento per il suo fondamentale contributo per la pace tra tutti i viventi.

L’appuntamento è per le 17,30 in Sala Giunta a Cà Farsetti. Ci saranno anche Gianfranco Bettin, Assessore all’Ambiente del Comune di Venezia, e Gianluca Felicetti, Presidente LAV

Creature dell’altro mondo

settembre 18, 2011

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C’è un altro mondo sotto i nostri piedi. Che non vediamo e neppure immaginiamo. E’ il mondo del sottosuolo, delle grotte, del buio. 

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Le prime notizie su animali viventi nelle grotte risalgono al ‘500, quando alcuni temerari iniziano a introdursi in caverne di facile accesso. Giovan Giorgio Trissino, letterato vicentino, nel 1550 racconta di “gambaretti picciolini” trovati nelle acque dei Covoli di Costozza, vicino a Vicenza.

Nel Seicento vengono poi riportate segnalazioni di animali cavernicoli viventi nelle acque sotterranee del Carso triestino e nel 1700 iniziamo gli studi sulla biologia dei pipistrelli.

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In quei secoli il mondo delle grotte è circondato da leggende e paure. Lo si pensava abitato da draghi, streghe e mostri. E quando, per via delle piene improvvise dei corsi d’acqua sotterranei, nel Carso Dinarico apparivano mostruosi anfibi bianchicci – i Protei (Proteus anguinus) –  veniva da sé che venissero scambiati dalla popolazione locale per “piccoli di drago”.

Tanti altri luoghi del cuore della terra portano nomi da terrore: Buco del Diavolo, Grotta delle Streghe, Buco del Mago, Grotta delle Fate, Grotta senza fine. E si potrebbe andare avanti per pagine e pagine.

Per arrivare alla nascita della moderna biospeleologia, bisognerà aspettare il 1831 con la scoperta, da parte dell’entomologo austriaco Franziscus Von Hohenwarth, nella Grotta di Postumia in Slovenia, del primo insetto cavernicolo cieco: il Coleottero Leptodirus hohenwarthi.

Da allora è stato un crescendo. Insetti, ragni, crostacei, millepiedi e persino pesci cavernicoli. Scoperta dopo scoperta ci si rese conto che anche il mondo sotterraneo, dominato dal buio, è abitato da organismi complessi che nei secoli si sono evoluti in questo ambiente e perfettamente adattati ad esso.

italafp.gifE’ una creatura dell’altro mondo anche l’ Italaphaenops dimaioli. Lunga appena 15 millimetri, senza occhi ma con lunghe antenne che gli consentono di muoversi nell’oscurità come se fosse alla luce del sole.

Non ha un carattere facile ma, sempre che riusciate a vederlo, lo potrete evitare perché è un po’ impacciato nei movimenti. Attenzione però a non confonderlo con una semplice formica.

L’Italaphaenops dimaioli è una creatura da molti record. E’ il più grande fra i trechini troglobi esistenti sulla faccia della terra (pardon, nel cuore della terra), è un rarissimo coleottero cavernicolo che vive solo nelle grotte della Lessinia, è oggetto di desiderio e di un feroce bracconaggio.

La quotazione di un esemplare di Italaphaenops dimaioli si aggira oggi sui 3-400 euro. Tanto sono disposti a sborsare i collezionisti pur di averne un esemplare nella loro collezione. Il buffo animaletto vive nelle grotte degli Alti Lessini.

Ben protetto dall’ente Parco che è la sola istituzione che può rilasciare permessi di entrata nelle grotte. Ma solo a studiosi o speleologi. Venne raccolto il coleottero per la prima volta nel 1963 nella Spluga della Preta a 510 metri di profondità.

Parco_Naturale_Regionale_jpg.jpgDiego Lonardoni, direttore del Parco, qualche anno fa non ha avuto scelta e ha dovuto chiudere e sbrangare tutte le grotte della zona. Alla Grotta dell’Arena, mi spiega, più volte hanno dovuto ripristinare l’inferiata. E ogni volta misteriosi bracconieri di piccolissime specie la tirano giù.

E quando riescono a entrare è davvero un macello per il delicato ecosistema di questi luoghi nascosti al mondo, in cui la vita continua come milioni di anni fa solo perché indisturbata. I bracconieri sono abili e le loro trappole elementari ma micidiali. 

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Sono bicchieri di plastica che vengono interrati e nei quali vengono messe un’esca e una miscela di acqua, sale e aceto. Un sistema nocivo della biocenesi delle grotte. Con il prezioso coleottero viene raccolto di tutto.

Se il bracconiere è fortunato potrebbe trovarci anche il Lessinodytes caoduroi, scoperto dal ricercatore veronese Gianfranco Caoduro, uno dei maggiori esperti di queste particolari specie.

Ma il Lessinodytes caoduroi è ancora più raro dell’ Italaphaenops dimaioli. Chi ce l’ha se lo tiene ben stretto e le sue quotazioni sono ormai fuori mercato.

Pelosina giornalaia a Piazzale Roma

settembre 15, 2011

Pomeriggio, quasi sera. Il ripiano dei quotidiani è vuoto. Sono in pochi i ritardatari delle notizie a Piazzale Roma (a Venezia) e l’edicolante si sta preprando alla chiusura.

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E’ il momento di Puffa. Piccola, bianca, ricciolina. Barboncina o quasi. Si accomoda sul ripiano verde. Bella distesa e comoda a prendersi in fresco.

Si fa accarezzare ma non approfittatevi della sua pazienza. Lì Puffa vuole prendere il fresco e le troppe coccolo la irritano un po’. Si alza e se ne va.

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Faccio a tempo a prendermi il giornale e scambiare quattro chiacchiere con i suoi padroni e Puffa riprende il suo posto. Quanto mi piace vedere cani amati e sereni.